Resilienza: come ricostruirsi dopo un evento traumatico
Ciao mums,
abbiamo fino a qui parlato di condivisione come una strada possibile per l’elaborazione del nostro lutto.
Ci siamo dette di cercare (aprirci) persone empatiche con cui condividere la nostra esperienza… ma a noi chi ci pensa?
Ci vogliamo abbastanza bene da cercare dentro la forza e la resilienza per andare avanti e dare un senso a tutto questo dolore?
Molte spesso la risposta è NO!
Leggi anche “Come ricostruire la coppia dopo un lutto perinatale“.
Il percorso di elaborazione è tortuoso e veniamo sbattute più volte contro lo scoglio dalle onde del mare.
Ciò che fa la differenza è la nostra volontà di tuffarci nuovamente in mare e riprovare.
Detto in una parola, la resilienza, che ci fa riscoprire quante risorse abbiamo di cui forse non eravamo neppure a conoscenza.
La resilienza di Marta
Credo anche che una buona parte del lavoro che purtroppo mi sono ritrovata a mettere in pratica, l’ho svolto tanti anni fa quando sono entrata nella Facoltà di Scienze della Formazione.
La resilienza è sempre stata una parola che mi ha accompagnato fin dai primi esami universitari.
Sempre in quegli anni ho scoperto l’associazione Parole di Lulù e ho partecipato a diversi loro eventi.
Qualche anno dopo, un capitolo della mia tesi specialistica l’ho dedicato alla trasformazione del dolore intervistando vari genitori tra cui anche Shirini Amini, la Presidente di Parole di Lulù e una mamma della Terra dei Fuochi.
Sia la tesi triennale che la tesi specialistica hanno incrociato i temi della resilienza e della trasformazione. Le mie tesi sono state pubblicate e sono testi d’esame all’Università degli Studi di Roma Tre.
Questo bagaglio di conoscenze, competenze e risorse acquisite all’interno dell’Università e con il contatto diretto con chi si era ritrovato a trasformare, me lo sono ritrovata dentro e non potevo buttarlo via.
Era lì anche quello a darmi una mano.
Ecco, possiamo dire che io ho fatto in modo di fare mie tutte le energie positive che ricevevo, così da rigenerare il mio corpo.”
Con Marta ho in comune proprio questa parola ,”resilienza”.
Essere resilienti significa essere capaci di ricostruirsi dopo un evento traumatico, essere duttili e saper usare tutte le nostre competenze e svilupparne di nuove per adattarci a una nuova situazione.
Le risorse che sono dentro di noi sono fondamentali per poterci aprire alla condivisione e ricevere quindi prezioso aiuto dall’esterno, ma in che modo?
Come una Fenice
Spesso è difficile metterci in gioco ed aprirci davvero all’altro. Abbiamo paura di essere giudicate. Rifiutiamo l’aiuto come se fosse un disonore.
Io mi ritrovo tra chi, forte e fiera, diceva: “Ce la faccio da sola”, ma ho dovuto ricredermi, e fare un passo indietro accogliendo un aiuto concreto.
Non è necessario essere delle eroine, a volte il dono più bello che possiamo farci è ammettere il nostro limite, aprirci alla condivisione e permettere agli altri di aiutarci.
Il mio impegno è stato quello di accogliere l’altro e di raccogliere il suo affetto: apertura e non chiusura. Quelle scorte d’empatia erano e sono per me sopravvivenza quando scivolo nell’abisso.
Da educatrice professionale sapevo perfettamente che per trasformare era necessario attraversare il dolore e esserne consapevole.
E per attraversare qualcosa c’è bisogno di camminarci dentro.
Durante i mesi successivi ho fatto proprio questo: sono stata dentro il dolore, l’ho sviscerato, l’ho sentito nelle ossa, negli occhi che bruciano, nei mal di testa, nella debolezza generale del corpo.
Passando per quel dolore, con la valigia piena di empatia che non mi faceva sprofondare nonostante tutto, sono arrivata dall’altra parte della riva.
Tutto l’amore che avevo ricevuto non poteva essere lasciato lì.
L’ho raccolto ed è stata la mia forza per oltrepassare.
Il camminare dentro al dolore è assolutamente necessario.
Rimuovere, mettere da parte, provare a dimenticare sarà solo un rimandare il conto perché prima o poi si presenterà con tutte le conseguenze possibili.
Per questo i mesi successivi non sono rientrata a lavoro.
Avevo bisogno di vivere quel dolore, non di distrarmi, non di occupare la mente, non di non pensare. Il dolore dovevo viverlo.
Dovevo pensarci e buttarlo tutto fuori altrimenti non ci sarebbe mai più stata luce.
[Distendo le vene e apro piano le mani, cerco di non trattenere più nulla lascio tutto fluire, l’aria dal naso arriva ai polmoni, le palpitazioni tornano battiti, la testa torna al suo peso normale, la salvezza non si controlla vince chi molla] 1
Solo passando dentro al dolore ho potuto mollare tutte quelle sensazioni che mi distruggevano.
Arrendersi significa comprendere
In questo viaggio non siamo sole, abbiamo le nostre risorse che ci portiamo dietro dal nostro passato e abbiamo nuovi amici: le persone che camminano con noi, conosciute grazie alla condivisione.
Mollare le sensazioni negative, lasciandole fluire a volte è il gesto più forte e coraggioso da fare.
Nel mio percorso di coaching si usa dire “arrendersi”.
In italiano ha una accezione negativa, quasi da perdente.
E lo dico io che sono sarda e testarda. 🙂 Ma da quando ho compreso fino in fondo questo termine, è entrato a pieno titolo tra le parole del mio dizionario.
Arrendersi significa comprendere. Non significa gettare la spugna, diventare apatici e lasciare che la vita ci scorra davanti in modo passivo, anzi.
Comprendere che cosa? Comprendere di aver agito fino al massimo potenziale, e poi aver accettato di non poter cambiare tutto ciò che è fuori dal nostro controllo.
Significa anche capire che lasciandosi trasportare dalla corrente, senza opporsi, si può trovare pace.
Se lasci la presa fai spazio nella tua vita, e quando fai spazio puoi riempirlo di nuovi pensieri.
È una consapevolezza nuova, di chi siamo, di cosa vogliamo e con chi possiamo condividere tutto ciò che ci è capitato.
Nel prossimo episodio vi racconteremo di un esempio concreto di condivisione che ha aiutato Marta.
Un progetto da cui prendere spunto per andare avanti.
Un abbraccio
Sara e Marta
Leggi il precedente episodio “Il potere della condivisione #3“.
Marta Micozzi è Laureata in Educatore Professionale e specializzata in Coordinatore dei servizi educativi, con lode. Lavora nel campo della disabilità. Ha avuto anche esperienze nel settore infantile avendo lavorato in una ludoteca e ha all’attivo due pubblicazioni. Se vuoi contattare Marta scrivi a [email protected]
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La Coach sul Lutto Perinatale
Mamma tra cielo e terra.
Educatrice del Femminile.
👁 Risvegliatrice d’intuito.
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