La storia di mamma Valentina e Aurora

La storia di una principessa chiamata Aurora. Nata dormendo con le manine e i piedini del papà e le guanciotte della mamma.

la storia di mamma Valentina

La storia di una principessa chiamata Aurora

Era appena trascorsa un’estate tranquilla e spensierata tra ferie, weekend al lago e serate tra amici.

Aspettavo il ciclo per i primi di settembre ma quella volta non avevo i miei soliti sintomi preciclo, stavo benissimo, niente nausea, niente gonfiore, niente di niente.

Così, quel sabato mattina, ripenso a quei mancati sintomi e insospettita decido di fare un salto al supermercato e comprare un test.

Era il 7 settembre ed appare una seconda linea chiarissima, ma in effetti non avevo nemmeno un ritardo, visto che mancava un giorno all’arrivo delle rosse! Leggo su vari forum che anche se la seconda linea è chiara, il test è positivo ma bisogna rifarlo nei giorni a  seguire.

Bene, ne compro un altro, e poi un altro ancora…insomma, non convinta provo quello con la scritta digitale e leggo “Incinta 2-3”. Ho letto e riletto varie volte quella scritta, ero incredula, non mi sembrava vero…

La prima ecografia

Era il 25 settembre, dopo una giornata a lavoro, tra ansia e impazienza, mi siedo su quel lettino.

Finalmente eccoti, è tutto vero, una macchia bianca attaccata a me, eri tu!

Pochi millimetri ma c’eri e saresti nata a maggio, il mese del nostro matrimonio, il mese delle rose, tu la più bella tra tutte.

Vengo messa subito a riposo per delle perdite che ci tengono sulle spine fino alla morfologica.

Progesterone, punture, vita tranquilla e tutto si sistema.

La placenta è un po’ bassa quindi niente lavoro, niente pesi o sforzi, se resta così si farà il cesareo programmato, dice il ginecologo.

I mesi passano in fretta, non ho nausee, nulla, sono al pieno delle forze.

Nelle varie ecografie ti vediamo agitare i pugnetti e sgambettare.
Io sono sempre tesa prima della visita dal ginecologo, ma appena sento il tuo cuoricino battere all’impazzata torna il sereno.

I mesi passano

Lutto perinatale-Valentina e Aurora

Arriva dicembre e la morfologica, va tutto bene e sappiamo che sarai una femminuccia. Inizio a comprare tutte le tue cosine, tutto rosa e sbirlluccicoso.

Prepariamo la tua cameretta: il papà monta la cassettiera nei fine settimana ed io decoro le pareti con tanti animaletti e mongolfiere colorate.

Decidiamo il tuo nome, Aurora, un nuovo inizio, splendente e luminoso, nelle nostre vite.

Inizio a sentire i primi colpetti, soprattutto la sera.

I biscotti al cioccolato ti piacciono tanto e spesso io e il tuo papà immaginiamo i tuoi lineamenti e fantastichiamo sulle cose da fare con te.

A febbraio sono già al settimo mese, caspita questa gravidanza è proprio volata!

La placenta è risalita, si può fare il parto naturale! Mi sento sollevata, finalmente posso stare tranquilla.

Lavo e stiro tutte le tue cosine, uno stendino tutto rosa! Preparo la valigia, perché dal settimo mese non si può mai sapere e fotografo tutto, persino le valigie!

La sera mi piace incollare tutte le foto nell’album ricordo della gravidanza, scrivo tutte le date, tutti i dettagli. Non voglio dimenticare nulla di questo splendido viaggio insieme, il nostro miracolo.

Arriva marzo e scatta il lockdown per il Covid19; mi sento al sicuro solo a casa e penso che finchè sarai dentro di me non potrà accaderti nulla di male.

Il papà lavora da casa e non staremo più sole solette tutto il giorno come era stato nei mesi precedenti, meglio così penso, almeno se partono le contrazioni non sarò da sola.

Ormai il pancione è bello ingombrante, tu ti muovi tanto, sei la mia “ballerina” e tutti ci chiedono come stiamo e se si smuove qualcosa.

Ecco l’ultima visita, siamo a fine aprile, il ginecologo stima un bel peso e mi fissa due monitoraggi settimanali a maggio.

Faccio i primi due e vanno bene. Mi fissano il terzo a 40+4 ma io sto bene, non ho dolori, non ho mal di schiena, nemmeno i piedi gonfi.

Sono tanto impaziente di vederti, di stringerti a me e lo ripeto tutte le sere al tuo papà prima di andare a dormire.

L’incubo

Venerdì, sono a 40+1, mi sveglio di cattivo umore. Durante la notte non ti eri fatta sentire e nemmeno la mattina; alle sei mi svegliavi con i tuoi colpetti ma stavolta nulla.

Mi alzo e faccio colazione con i tuoi biscotti preferiti, aspetto sul divano ma tutto tace. Si sveglia il papà e gli spiego che sono preoccupata, già la sera prima ti avevo sentita poco e adesso niente.

Andiamo al pronto soccorso ma già nel tragitto avevo un brutto presentimento. All’entrata mi chiedono il motivo di quella visita ed io, quasi piangendo, dico che non ti sento muovere.

Arrivati al macchinario del monitoraggio non trovano il battito ed io ripeto come un mantra: “Lo sapevo, lo sapevo”.

L’ostetrica mi dice: “Tranquilla forse è questo che non lo rileva, andiamo all’ecografo”.

Mi alzo, prendo le mie cose e la seguo tra i corridoi pieni di mamme in attesa di fare il monitoraggio.

Io ero lì tre giorni fa, inconsapevole del disastro che mi avrebbe travolto, vorrei urlare, scappare, ma seguo l’ostetrica.

Davanti l’ecografo si raggruppano vari medici, li sento bisbigliare tra loro ed io continuo a dire che lo sapevo, me lo sentivo.

Ci dicono che spesso la causa non si trova o se si trova serve ad intervenire in gravidanze future.

Vedo piangere il papà a dirotto dietro la mascherina, fissando il monitor.

Io invece non riuscivo a piangere, ero in trance, mi sembrava tutto così irreale, un incubo.

Chiedo il cesareo ma mi dicono che per la mia salute è meglio il naturale. Ormai sono un pupazzo, non capisco nulla.

Mi danno un letto e dalle 13 iniziano con l’induzione.

Passo il pomeriggio e i dolori da ciclo fissi diventano sempre più forti. Sento il sacco che si rompe ed iniziano i dolori veri.

Mi contorcevo sul letto ma non vedevo l’ora di partorire perché volevo vederti, volevo capire cosa fosse successo nel posto che credevo il più sicuro ma che invece era diventata la tua tomba.

Nasci dormendo

Alle ore 22.00 mi fanno l’epidurale e alle 23:59 nasci, dormendo.

Non ci sono nodi nel cordone, non hai nulla attorno al collo e la placenta è perfettamente attaccata. Sei calda, morbida e profumata.

Ti stringo a me, ti bacio e tra le lacrime riesco solo a dirti “mi dispiace”.

Stiamo insieme solo 10 minuti, ma ti guardo in ogni dettaglio.

Hai i piedini e le manine uguali al papà; le sue labbra, rosse e carnose e le mie guanciotte.

Sei proprio come ti avevamo disegnata nei nostri sogni più belli. Tre chili e mezzo in 52 cm di perfezione, la nostra bella addormentata.

Dopo due mesi ci hanno detto che vari trombi nel cordone e nella placenta ti hanno tolto l’ossigeno.

Trombofilia acquisita, senza sintomi o preavviso e con le analisi sempre perfette è arrivata in silenzio e ti ha portata via.

Me la sono presa con il mio corpo, che doveva proteggerti invece ci ha separate per sempre.

Ho iniziato a piangere dopo una settimana, quando ho realizzato che la mia pancia era vuota, così come le mie mani e che non ti avrei rivista mai più.

Tornata a casa non riuscivo nemmeno a guardare i piedi del tuo papà perchè mi ricordavano i tuoi ed iniziava un pianto doloroso e inconsolabile.

Io e la nonna abbiamo sistemato nei cassetti tutte le tue cose, non saprò mai come ti staranno, che voce avresti avuto e il colore dei tuoi occhi.

Tutto questo mi fa male dentro e mi toglie l’aria.

Sono passati quasi due mesi e dal quel venerdì di maggio non mi sento più io.

Come se qualcosa si fosse rotto per sempre, forse il mio cuore.

Non c’è giorno in cui non ti pensi. Sei esistita per nove mesi dentro di me e sei stata il nostro sogno più bello.

Mi manca tutto quello che non saremo, né faremo mai.

Mi sento monca, orfana, triste e spenta. Anche se sorrido, un minuto dopo torna quella tristezza e malinconia in sottofondo. 

Ogni settimana veniamo a trovarti al cimitero e mi commuovo sempre quando vedo tutte quelle girandole colorate muoversi insieme con il vento.

Mi piace pensarti insieme a tutti quei bambini, felici di ricevere visite e giocattolini nuovi.

La sera entro nella tua cameretta ed accarezzo l’impronta della tua manina sul gesso, mi sembra di toccarti così, in qualche modo.

Il silenzio della  casa è assordante e insopportabile.

Grida la tua assenza, amore mio.

Mia dolce Auri, ovunque sei adesso, mamma e papà ti amano fino a lì e lo faranno per sempre.

La tua mamma

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Sara Barletta –
La 1° Coach sul lutto perinatale in Italia

🌟Guido le mamme nel percorso di elaborazione del lutto perinatale, durante la gravidanza arcobaleno e post maternità a ricreare l’equilibrio.
Camminiamo insieme oltre il lutto e verso la rinascita.


La Coach sul Lutto Perinatale

Mamma tra cielo e terra.
Educatrice del Femminile.
👁 Risvegliatrice d’intuito.

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